Domani  mattina, martedì 23 giugno, la prima causa trattata nell’udienza pubblica in Corte Costituzionale riguarderà una disabile affetta da grave tetraplegia, costretta a vivere in carrozzella,  e il suo misero assegno di invalidità civile che, al momento del ricorso, era pari ad euro 279,47 mensili e ancora nel 2020 corrisponde ad un importo di euro 286,81.

Secondo la ricorrente e la Corte di Appello di Torino, che ha sollevato questione di illegittimità costituzionale, gli importi degli assegni di invalidità sono “largamente insufficienti a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari della vita”  tutelati dalla Costituzione e violano in termini di manifesta irragionevolezza La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

Di seguito, l’ordinanza della Corte di Appello di Torino.

 

N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 03 giugno 2019

Ordinanza del 3 giugno 2019  della  Corte  d'appello  di  Torino  nel
procedimento civile promosso da B. S. in persona del suo tutore B. V.
contro Istituto nazionale della previdenza sociale - Inps. 
 
Previdenza e assistenza - Pensione di inabilita' concessa ai mutilati
  e invalidi civili di eta' superiore  agli  anni  diciotto  nei  cui
  confronti sia accertata una totale inabilita' lavorativa - Importo. 
Previdenza e assistenza - Incremento  delle  pensioni  in  favore  di
  soggetti disagiati - Concessione dei benefici incrementativi  anche
  agli invalidi  civili  totali  titolari  di  pensione  -  Requisito
  anagrafico. 
- Legge 30 marzo 1971, n. 118  (Conversione  in  legge  del  D.L.  30
  gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi
  civili), art. 12, primo comma;  legge  28  dicembre  2001,  n.  448
  ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
  dello Stato (legge finanziaria 2002)"), art. 38, comma 4. 


(GU n. 2 del 2020-01-08)

 
                    LA CORTE D'APPELLO DI TORINO 
                           Sezione lavoro 
 
    Composta da: 
        dott. Rita Maria Mancuso, Presidente rel.; 
        dott. Federico Grillo Pasquarelli, consigliere; 
        dott. Silvia Casarino, consigliere, 
    a scioglimento della riserva assunta all'udienza  del  29  maggio
2019, ha pronunciato la seguente ordinanza,  nella  causa  di  lavoro
iscritta al n. 183/20187 R.G.L. promossa da: 
        B. S. in persona del suo tutore B. V.,  nata  a...  l'......,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Motta e  Annamaria  Torrani
Cerenzia per procura speciale in atti  ed  elettivamente  domiciliata
presso il loro studio in Torino, via Castellamonte n. 1, appellante; 
    Contro  Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  -  INPS,
corrente  in  Roma,  in  persona  del  suo  Presidente  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Ruta  per  procura  generale
alle  liti  a  rogito  notaio  Paolo  Castellini  di  Roma  rep.   n.
80974/21569 del 21 luglio 2015, elettivamente domiciliato in  Torino,
via Arcivescovado n.  9  presso  l'Avvocatura  distrettuale  INPS  di
Torino, appellato. 
    1. Con ricorso depositato il 3 ottobre 2016 diretto al  Tribunale
di Torino, B. S., a mezzo del suo tutore B. V., evocava  in  giudizio
l'INPS  esponendo:  di  essere  affetta   da   tetraplegia   spastica
neonatale; di essere percio' costretta a  vivere  in  carrozzella  ed
essere incapace non solo a svolgere i piu' elementari atti quotidiani
della vita (come lavarsi, vestirsi, alimentarsi  ecc.)  ma  anche  di
comunicare con l'esterno; di essere  stata  riconosciuta  inabile  al
lavoro al 100% e percepire pertanto la pensione di inabilita' di  cui
all'art. 12, legge 30 marzo 1971, n. 118 («Conversione in  legge  del
decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5  e  nuove  norme  in  favore  dei
mutilati e invalidi civili») ammontante nell'anno 2016 ad euro 279,47
mensili per tredici mensilita', maggiorata di euro 10,33  mensili  ai
sensi dell'art. 70, comma 6, legge n. 388/2000; di  avere  presentato
all'INPS il 2 agosto 2015 domanda volta ad ottenere la «maggiorazione
sociale al milione» prevista dall'art. 38, legge 28 dicembre 2001, n.
448, domanda che l'Istituto aveva respinto per difetto del  requisito
anagrafico di 60 anni di eta'; di avere  vanamente  proposto  ricorso
amministrativo avverso il diniego dell'INPS. La  ricorrente  deduceva
che l'ammontare complessivo della pensione percepita  era  largamente
insufficiente a garantirle il  soddisfacimento  dei  bisogni  primari
della vita e che pertanto il cit. art. 12, legge n.  118/1971  doveva
ritenersi in contrasto: con l'art. 38. comma  1,  della  Costituzione
(che garantisce ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto  dei
mezzi  necessari  per  vivere  al  mantenimento   ed   all'assistenza
sociale); con l'art. 3 della Costituzione  (per  essere  la  pensione
erogatale   sensibilmente   ed   irragionevolmente   inferiore    sia
all'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge 8 agosto  1995,
n. 335, erogato agli ultrasessantacinquenni privi di reddito  sia  al
«trattamento minimo» previsto dall'art.  38,  legge  n.  448/2001  in
favore  dei  pensionati  in  condizioni  disagiate  in  possesso   di
determinati requisiti di eta' e di reddito) - sotto il profilo  della
norma interposta, con gli articoli 10, comma 1, e 117, comma 1, della
Costituzione (come  sostituito  dall'art.  3  della  legge  cost.  n.
3/2001), per contrasto con gli articoli  4  e  28  della  Convenzione
delle  Nazioni  Unite  sui  diritti  delle  persone  con  disabilita'
stipulata a New York il 13 dicembre 2006, resa  esecutiva  in  Italia
con legge n. 18/2009, nonche' con gli articoli 26 e  34  della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea richiamata  dall'art.  6
del Trattato di Lisbona. 
    La ricorrente chiedeva dunque al Tribunale adito, previa positiva
valutazione della rilevanza  e  non  manifesta  in  fondatezza  della
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12,  legge  n.
118/1971 in riferimento agli articoli 3, comma 1 e 2,  38,  comma  1,
10, comma 1 e 117, comma 1 della Costituzione, di rimettere gli  atti
alla Corte costituzionale e quindi di condannare l'INPS al  pagamento
in suo favore della pensione di inabilita' in misura non inferiore al
minimo previsto dall'art. 38, legge  n.  448/2001  o  in  misura  non
inferiore all'assegno sociale di cui all'art. 3, comma  6,  legge  n.
335/1995 e comunque in misura tale da assicurarle il proprio decoroso
mantenimento. 
    2. Si costituiva in giudizio  l'INPS  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso avversario perche' infondato, deducendo anzitutto che  la  B.
S. era titolare, oltre che della pensione di inabilita' ex  art.  12,
legge n. 118/1971 maggiorata dell'importo mensile di euro  10,33  (ex
art. 70, comma  6,  legge  n.  388/2000),  anche  dell'indennita'  di
accompagnamento di cui all'art. 1, legge n. 18/1980 avente un importo
mensile di euro 515,43  per  dodici  mensilita',  sicche'  la  stessa
veniva a percepire mensilmente un importo complessivo di euro  805,23
sufficiente a garantirle un dignitoso mantenimento,  e  ribadendo  di
non aver potuto accogliere la domanda volta al  riconoscimento  della
maggiorazione di cui all'art. 38, legge n. 448/2001  per  difetto  in
capo alla B. del requisito anagrafico richiesto di 60 anni di eta'. 
    3. Il Tribunale di Torino con sentenza n. 1720/2017 pubblicata il
21 settembre  2017  respingeva  il  ricorso  e  compensava  le  spese
processuali. Il Tribunale riteneva infatti  manifestamente  infondata
la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  col  ricorso
introduttivo, osservando al riguardo: a) che  in  base  all'art.  28,
legge  n.  87/1953  il  controllo   di   legittimita'   della   Corte
costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge escludeva
«ogni valutazione di natura politica e ogni  sindacato  sull'uso  del
potere discrezionale  del  Parlamento»  e  che  pertanto  non  poteva
sollevarsi una questione volta ad «imporre al Giudice delle leggi  di
sostituirsi  al  legislatore  ordinario  nel  compiere   una   scelta
discrezionale su un dato tema,  da  regolarsi  secondo  la  normativa
primaria»; b) che l'art. 38 della Costituzione, pur riconoscendo agli
inabili al lavoro il diritto  al  mantenimento,  non  forniva  alcuna
indicazione sulle modalita' di attuazione di tale diritto  ne'  tanto
meno  sulla  misura  degli   eventuali   sussidi,   rimettendo   tale
valutazione alla piena discrezionalita' del legislatore ordinario, il
quale d'altronde deve tenere conto anche delle  esigenze  di  finanza
pubblica, bene anch'esso  costituzionalmente  protetto  dall'art.  81
della Costituzione (come sostituito dall'art. 1, legge costituzionale
n. 1/2012); c) che, allo stesso modo,  la  normativa  comunitaria  ed
internazionale  richiamata  dalla   ricorrente   dettava   unicamente
principi generali per i legislatori nazionali  senza  stabilire  «nel
dettaglio dei limiti alla discrezionalita' di  cui  essi  legislatori
godono nel dare attuazione  al  diritto  all'assistenza  sociale  dei
disabili»; d) che arbitraria era inoltre la comparazione - effettuata
dalla difesa della ricorrente - fra  la  pensione  di  inabilita'  in
godimento e l'assegno sociale previsto dall'art. 3, comma 6, legge n.
335/1995 a favore dei cittadini  ultrasessantacinquenni,  trattandosi
di  istituti  del  tutto  diversi  destinati  ad  assolvere  funzioni
differenti,  sicche'  non  poteva  configurarsi   nel   caso   alcuna
violazione  dell'art.  3  della  Costituzione  ipotizzabile  solo  in
presenza  di  discipline  diverse  destinate  a  regolare  situazioni
identiche o assolutamente comparabili, situazione non ricorrente  nel
caso di specie. 
    4. Avverso detta sentenza ha interposto tempestivo appello B.  S.
per il tramite del suo tutore B. V.,  riproponendo  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  di  cui  al  ricorso   introduttivo   e
chiedendo nel  merito  l'accoglimento  delle  originarie  conclusioni
sulla base  delle  seguenti  censure:  (I)  la  discrezionalita'  del
legislatore nella individuazione delle misure a favore delle  persone
inabili  trova  un  limite,  anche  secondo  la  Corte  delle  leggi,
nell'esigenza  di  garantire  una  «misura   minima   essenziale   di
protezione» al di sotto  della  quale  i  diritti  costituzionalmente
garantiti verrebbero violati; (II) rientra si' nella discrezionalita'
del legislatore il contemperamento fra il soddisfacimento di  diritti
costituzionalmente garantiti,  quale  quello  al  mantenimento  degli
inabili sprovvisti di mezzi previsto dall'art.  38,  comma  1,  della
Costituzione, e le necessita' della finanza  pubblica,  ma  la  norma
primaria non puo' essere sottratta al sindacato di  costituzionalita'
quando risulti affetta da «manifesta irrazionalita'», come  deve  nel
caso ritenersi la disposizione di cui all'art. 12, legge n.  118/1971
che riconosce al cittadino disabile totalmente inabile al  lavoro  un
trattamento oggettivamente inadeguato al proprio mantenimento e  pure
sensibilmente inferiore a quello stabilito, per fronteggiare analoghe
situazioni di bisogno, dall'art. 3, comma  6,  legge  n.  335/1995  e
dall'art. 38, legge n. 448/2001; (III) il  primo  giudice  ha  errato
nell'escludere la  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione  sul
presupposto della «incomparabilita'» fra la pensione di inabilita' ex
art. 12, legge n. 118/1971 e l'assegno sociale  di  cui  all'art.  3,
comma 6, legge n. 335/1995, trattandosi invece di trattamenti  aventi
entrambi natura assistenziale, corrisposti - come  pure  riconosciuto
dalla Corte costituzionale - in ragione della  comune  condizione  di
inabilita' al lavoro, per infermita' o per eta', del  soggetto  e  di
carenza dei mezzi necessari per vivere, tanto che al  compimento  del
65°  anno  di  eta'  la   pensione   di   inabilita'   si   trasforma
automaticamente nell'assegno sociale;  (IV)  diversamente  da  quanto
asserito dal primo giudice si configura  una  violazione  pure  degli
articoli 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione  poiche'  le
Convenzioni  europee  e   internazionali   richiamate   nel   ricorso
introduttivo dettano direttive e criteri che vincolano il legislatore
nazionale e che sono univocamente orientati ad assicurare ai disabili
una tutela effettiva e non meramente teorica. 
    5. L'INPS si e' costituito  chiedendo  il  rigetto  del  gravame,
riproponendo le stesse difese del primo grado. 
    6.  Questa  Corte,  acquisite  informative  dalle   parti   circa
l'attribuibilita'   alla   ricorrente   dei   benefici   recentemente
introdotti dal decreto-legge 28 gennaio  2019,  n.  4  convertito  in
legge 28 marzo 2019, n.  26  («Disposizioni  urgenti  in  materia  di
reddito di cittadinanza e  di  pensioni»),  invitate  le  parti  alla
discussione in ordine alla rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale  riproposta  dalla  B.
nel ricorso in appello, all'udienza del 29 maggio 2019  ha  riservato
la decisione. 
    7. Risultano documentalmente provate e sono comunque pacifiche in
causa le condizioni psico-fisiche in cui versa la ricorrente  B.  S.:
la stessa. che oggi ha  47  anni,  e'  affetta  da  «ritardo  mentale
profondo e grave tetraparesi spastica da  anossia  neonatale»  ed  in
conseguenza di tale patologia e' costretta a vivere su  una  sedia  a
rotelle, e' totalmente dipendente da terzi per il compimento di tutti
gli atti della vita (lavarsi, vestirsi, alimentarsi, coricarsi ecc.),
dispone  di  limitatissime  funzioni  intellettive,  comunicative   e
relazionali, non essendo neppure in grado di parlare ed  esprimere  i
propri bisogni (nel  verbale  in  atti  del  2  febbraio  2011  della
Commissione  medica  superiore  dell'INPS  si   legge:   «Giunge   in
carrozzina con sostegno anteriore per scarso  controllo  del  tronco.
Quadro di grave tetraparesi  spastica  con  retrazioni  spastiche  ai
quattro arti. Ipertono  flessorio  AASS.  estensorio  AAII  di  grado
elevato. Incontinenza sfinterica. Non  mantiene  la  stazione  eretta
autonomamente;   non   deambula.    Emette    suoni    disarticolati.
Completamente estranea all'ambiente. Scialorrea»). 
    8. Pacifico e' altresi' che in ragione della  predetta  patologia
B. S. sia stata riconosciuta totalmente inabile nonche'  in  possesso
dei requisiti per l'indennita' di accompagnamento ex art. 1, legge n.
18/1980 e che, pertanto, essendo in possesso del  relativo  requisito
reddituale, percepisca la pensione di inabilita' di cui all'art.  12,
legge n. 118/1971, nonche' la maggiorazione mensile di euro 10,33  di
cui all'art. 70,  comma  6,  legge  n.  388/2000  e  l'indennita'  di
accompagnamento ex art. 1 legge n. 18/1980, ammontante nell'anno 2018
ad euro 515,43 mensili per dodici mensilita'. 
    9. L'art. 12, comma 1, legge 30 marzo 1971, n. 118  prevede:  «Ai
cittadini ed invalidi civili di eta' superiore agli anni 18, nei  cui
confronti, in sede di visita medico-sanitaria,  sia  stata  accertata
una totale inabilita' lavorativa, e' concessa a carico dello Stato  e
a cura  del  Ministero  dell'interno  (ora  dall'INPS:  n.d.e.),  una
pensione di inabilita' di lire 234.000 annue da ripartire in  tredici
mensilita' con decorrenza dal primo  giorno  del  mese  successivo  a
quello  della  presentazione   della   domanda   per   l'accertamento
dell'inabilita'» l'importo annuo della pensione, originariamente pari
a lire 234.000, e' stato e levato nel corso del  tempo  con  appositi
provvedimenti legislativi (v.  art.  7,  comma  1,  decreto-legge  n.
30/1974 conv. con modif. in legge n. 114/1974, art. 5, comma 1, legge
n. 160/1975, art. 14-septies, comma 1, decreto-legge n. 663/1979  con
v. in legge n. 33/1980) ed e' soggetto alla  perequazione  automatica
al costo della vita secondo gli indici ISTAT  disposta  con  appositi
decreti ministeriali (v. art. 7, legge n. 160/1975 e art.  11,  comma
1, decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  503),  di  talche'  la
pensione di inabilita' in godimento della B. ammontava nell'anno 2018
ad euro 282,55 per tredici mensilita' (oltre  alla  maggiorazione  di
euro 10,33 mensili) ed ammonta  nell'anno  2019,  per  effetto  della
rivalutazione dell'1,1% disposta con decreto ministeriale 16 novembre
2018, ad euro 285,66 per tredici mensilita'; 
    10. Incontroverso ancora e' che l'INPS abbia respinto, unicamente
per  difetto  del  requisito  anagrafico  dei  60  anni,  la  domanda
amministrativa presentata dalla B. il 2 agosto 2015 volta ad ottenere
la cd. «maggiorazione al milione» prevista  dall'art.  38,  comma  4,
legge n. 448/2001 a  favore,  fra  l'altro,  dei  cittadini  invalidi
civili totali aventi eta' pari o superiore a sessanta anni. 
    11. Non ritiene anzitutto  questa  Corte  che  nella  valutazione
circa la rilevanza e non manifesta infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, legge n.  118/1971
riproposta dalla B. nell'appello possa tenersi conto della erogazione
alla stessa dell'indennita' di accompagnamento riconosciuta, ex  art.
1, legge 11 febbraio 1980, n. 18,  agli  invalidi  civili  totalmente
inabili  nei  cui  confronti  sia   accertata   l'impossibilita'   di
deambulare  senza  l'aiuto  permanente  di  un  accompagnatore  o  la
necessita' di un'assistenza continua non essendo in grado di compiere
autonomamente  gli  atti  quotidiani  della  vita,  rispondendo  tale
provvidenza a finalita' diverse da quella che presiede all'erogazione
della pensione di inabilita', diretta invece a garantire al  soggetto
totalmente inabile al lavoro privo di mezzi sufficienti il necessario
per far fronte alle spese  indispensabili  al  proprio  mantenimento.
Merita al riguardo segnalare che  gia'  la  Corte  costituzionale  ha
avuto modo di  ritenere  con  la  sentenza  n.  346/1989  la  diversa
funzione cui assolvono le  prestazioni  assistenziali  connesse  alla
invalidita' e l'indennita' di  accompagnamento,  «le  quali  tendono,
nell'un caso, a sopperire alla condizione di bisogno di chi  a  causa
dell'invalidita' non e' in grado di procacciarsi i necessari mezzi di
sostentamento,   nell'altro,   a   consentire   ai    soggetti    non
autosufficienti condizioni esistenziali compatibili con  la  dignita'
della persona umana». 
    12.  L'importo  sopra  indicato  della  pensione  di   inabilita'
percepito dalla B., anche se integrato di euro 10,33 mensili, non  e'
certamente  sufficiente,   per   comune   esperienza,   a   garantire
all'appellante il soddisfacimento dei piu' elementari  bisogni  della
vita, come alimentarsi, vestirsi e  reperire  un'abitazione,  e  cio'
tanto piu' considerando che  la  stessa,  a  causa  della  gravissima
patologia da cui e' affetta, e' priva della benche' minima  capacita'
di guadagno e non e' quindi in grado  di  svolgere  alcuna  attivita'
lavorativa che potrebbe  in  ipotesi  consentirle  di  procurarsi  un
reddito che, cumulato col trattamento pensionistico in godimento e di
entita' tale da non comportare il superamento del  limite  reddituale
richiesto  dalla  legge  per  il   mantenimento   della   prestazione
assistenziale, possa garantirle di far fronte  alle  minime  esigenze
vitali. 
    L'inadeguatezza dell'importo di  pensione  mensilmente  percepito
dalla B. a garantire alla  stessa  il  soddisfacimento  delle  minime
esigenze vitali, trova peraltro conferma anche  nella  giurisprudenza
della Corte di cassazione:  investita  dell'impugnazione  avverso  la
sentenza che aveva respinto  l'opposizione  avverso  l'ordinanza  del
giudice dell'esecuzione di rigetto dell'istanza di assegnazione di un
quinto di una pensione Enasarco di euro 414,15 mensili, la S.C.,  con
la sentenza n. 6548 del  22  marzo  2011,  dopo  aver  richiamato  la
necessita' - affermata dalla Corte  costituzionale:  v.  sentenza  n.
506/2002 - di limitare l'impignorabilita'  della  pensione  a  quella
sola parte idonea ad assicurare al pensionato  «mezzi  adeguati  alle
sue esigenze di vita», ha respinto il  ricorso  avendo  condiviso  la
«ratio decidendi» dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione,  e  del
successivo  rigetto  dell'opposizione  ex  art.  617  del  codice  di
procedura  civile,  in  ordine  alla  «riconducibilita'  alla  comune
esperienza della nozione della totale insufficienza... a garantire le
minime esigenze  di  vita  del  pensionato,  ivi  comprendendovi  gli
esborsi per l'alimentazione indispensabile per sopravvivere,  per  il
vestiario e per l'abitazione (disponibilita' dell'immobile e  consumi
ordinari di luce, acqua e gas), sia  pure  nei  limiti  della  soglia
minima dell'esigenza  dignitosa»  sia  della  somma  di  euro  303,25
mensili, corrispondente alla pensione sociale e predicata invece  dal
ricorrente come adeguata a soddisfare gli elementari bisogni di  vita
del pensionato, sia della poco maggiore somma di euro 414,15  erogata
dal terzo pignorato al debitore. 
    Si rinvengono d'altronde nell'ordinamento diverse disposizioni di
legge  che,  pur  non  individuando  direttamente  l'ammontare  della
pensione idoneo ad  assicurare  al  pensionato  mezzi  adeguati  alle
esigenze   della   vita,   forniscono    ciononostante    indicazioni
significative in tal  senso:  si  veda  ad  esempio  il  nuovo  testo
dell'art. 545,  comma  7,  codice  di  procedura  civile  (introdotto
dall'art. 13, comma 1, lettera l, del decreto-legge n. 83/2015  conv.
con   modif.   nella   legge   n.   132/2015)   che   ha    stabilito
l'impignorabilita' delle  somme  dovute  a  titolo  di  pensione,  di
indennita' che tengono luogo  di  pensione  o  di  altri  assegni  di
quiescenza «per  un  ammontare  corrispondente  alla  misura  massima
mensile dell'assegno sociale aumentato della meta'» nonche'  il  gia'
citato art. 38, legge n. 448/2001 che ha  disposto,  in  presenza  di
determinati requisiti reddituali e di eta', l'incremento «al milione»
di diversi trattamenti pensionistici dei soggetti disagiati  <fino  a
garantire un reddito proprio pari a 516,46 euro al mese  per  tredici
mensilita'». 
    13. La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12,
comma 1, legge n. 118/1971, laddove riconosce al soggetto  totalmente
inabile, per di  piu'  affetto  -  come  nel  caso  -  da  gravissima
disabilita'  e  privo  percio'  della  benche'  minima  capacita'  di
guadagno,  un  importo  di  pensione  del   tutto   insufficiente   a
garantirgli il soddisfacimento delle elementari esigenze  della  vita
appare dunque non manifestamente  infondata  in  relazione  anzitutto
all'art. 38, comma 1 della Costituzione che sancisce  il  diritto  di
«ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto  dei  mezzi  necessari
per vivere ... al mantenimento e all'assistenza sociale». 
    Vero  e'  che  il  legislatore  gode  di  discrezionalita'  nella
individuazione e determinazione delle misure atte a concretizzare «il
diritto al mantenimento» sancito dalla  disposizione  costituzionale,
ma  tale  discrezionalita'  trova  un  limite  nella  necessita'   di
assicurare il soddisfacimento  delle  esigenze  minime  vitali  della
persona, esigenze minime che - come gia' osservato - la  pensione  di
inabilita' in godimento alla B. non e' certo in grado di assicurare. 
    La Corte costituzionale in diverse sentenze ha  ribadito  che  il
potere discrezionale del legislatore non e' assoluto ma  condizionato
dal «rispetto di un nucleo indefettibile  di  garanzie»  (v.  ad  es.
sentenze n. 180/2001 e 226/2000), principio che la stessa Corte delle
leggi ha di recente ribadito nella sentenza n. 80/2010 ove  e'  stato
ritenuto che in presenza di un «diritto  fondamentale»  quale  quello
del disabile all'istruzione (e  diritto  «fondamentale»  e'  pure,  a
parere di questo Collegio, quello  sancito  dall'art.  38,  comma  1,
della Costituzione a favore dei cittadini inabili privi di mezzi), la
discrezionalita' del legislatore  «nell'individuazione  delle  misure
necessarie a tutela dei diritti delle persone con disabilita' non  ha
carattere assoluto ma trova un  limite  nel  rispetto  di  un  nucleo
indefettibile di garanzie» per gli interessati. 
    La necessita' di contemperare il diritto  dei  cittadini  inabili
privi dei mezzi necessari per vivere e, come nel  caso,  anche  della
benche' minima capacita'  di  guadagno,  di  conseguire  dallo  Stato
quanto necessario per soddisfare le esigenze  elementari  della  vita
con le disponibilita' finanziarie e con il principio, pure di rilievo
costituzionale  (v.  art.  81,  comma  1,  della  Costituzione,  come
sostituito  dall'art.  1,  legge  costituzionale   n.   1/2012),   di
assicurare l'equilibrio di bilancio, non puo'  d'altronde  consentire
di ritenere conformi al precetto di cui all'art. 38, comma  1,  della
Costituzione, disposizioni di legge che, come  l'art.  12,  comma  1,
legge n. 118/1971, assicurino ai soggetti in questione provvidenze in
concreto del tutto inidonee a garantire  l'effettivo  soddisfacimento
delle minime esigenze vitali:  la  stessa  Corte  costituzionale,  ad
esempio con la sentenza n. 275/2016, ha piu'  volte  posto  l'accento
sulla  necessita'  che  il  legislatore  garantisca  l'attuazione   e
«l'effettivita'» del diritto costituzionalmente garantito, osservando
inoltre, quanto al limite costituito dalle esigenze di bilancio,  che
«il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere  effettivo  il
diritto allo studio e all'educazione degli alunni disabili  non  puo'
essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e  generali»
e che «e' la garanzia dei  diritti  incomprimibili  ad  incidere  sul
bilancio e non l'equilibrio di questo  a  condizionarne  la  doverosa
erogazione». 
    14. La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12,
comma 1, legge n. 118/1971 appare non manifestare infondata, sotto il
profilo della ragionevolezza, anche in  relazione  all'art.  3  della
Costituzione che sancisce l'uguaglianza dei  cittadini  davanti  alla
legge senza distinzione «di condizioni personali e sociali» (comma 1)
e pone a carico della Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale che limitando di fatto la  liberta'  ed
eguaglianza  dei  cittadini  impediscono  «il  pieno  sviluppo  della
persona umana» (comma 2). 
    La pensione di inabilita' di che trattasi viene riconosciuta agli
invalidi civili di eta' compresa fra i diciotto ed  i  65  anni  (nel
2018 66 anni per effetto dell'art.  24,  comma  8,  decreto-legge  n.
201/2011 conv. con modif. nella legge n. 214/2011) nei cui  confronti
sia stata accettata una totale inabilita' lavorativa e che  siano  in
possesso del requisito reddituale stabilito anno per anno dall'INPS. 
    L'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge n.  335/1995,
che nell'anno 2018 ammontava pacificamente ad euro 453,00 mensili per
tredici mensilita' nella sua misura intera (ed ammonta  nel  corrente
anno  ad  euro  458  mensili),  viene   riconosciuto   ai   cittadini
ultrasessantacinquenni (a decorrere dal 1° gennaio 2018 ultra 66enni:
v. art. 24, comma 8, decreto-legge n. 201/2001 sopra cit.) che  siano
in possesso di determinati requisiti reddituali, meno  favorevoli  di
quelli stabiliti per l'attribuzione della pensione di  inabilita'  in
ragione anche della computabilita' del reddito del coniuge. 
    La pensione di inabilita' e l'assegno  sociale  sono  trattamenti
fra   loro   assimilabili:   come   affermato   anche   dalla   Corte
costituzionale  (v.  ad  esempio  sentenza  n.   769/1988)   le   due
prestazioni hanno la stessa natura assistenziale, essendo  dirette  a
sopperire ai bisogni dei soggetti privi di mezzi che siano inabili al
lavoro o a causa di infermita' (pensione di  inabilita')  ovvero  per
ragioni di eta' (assegno sociale). 
    L'assimilabilita'  delle  due  provvidenze  e'  resa  ancor  piu'
evidente dalla  circostanza  che  ai  sensi  dell'art.  19  legge  n.
118/1971 al compimento dei 65 (ora 66) anni di eta'  la  pensione  di
inabilita'  di   cui   all'art.   12,   legge   n.   118/1971   viene
automaticamente sostituita con l'assegno sociale:  l'importo  mensile
della  pensione  di  inabilita'  viene  quindi  adeguato  all'importo
dell'assegno sociale, ma restano fermi i diversi  e  piu'  favorevoli
requisiti reddituali stabiliti per l'attribuzione della  pensione  di
inabilita'. 
    Appare dunque irragionevole, ad avviso del Collegio,  riconoscere
al soggetto totalmente inabile infra 65enne (oggi infra  66enne)  che
si trovi come nel caso della B. privo della benche' minima  capacita'
di guadagno in ragione della gravissima infermita' da cui e'  affetto
un  trattamento  di  ammontare  sensibilmente  inferiore   a   quello
dell'assegno sociale, nonostante  la  comune  situazione  di  bisogno
determinata in entrambi  i  casi  dalla  inabilita'  al  lavoro  (per
infermita' nell'un caso e per l'eta'  nell'altro  caso),  tanto  piu'
considerando   che   la   Corte   costituzionale   ha   ripetutamente
sottolineato la  diversita'  e  specialita'  della  condizione  degli
invalidi civili assoluti, meritevoli, perlomeno sotto  l'aspetto  del
requisito reddituale, di «un trattamento di miglior favore»  rispetto
agli aspiranti all'assegno sociale (v. ad  es.  sentenza  n.  88/1992
pronunciatasi in riferimento alla pensione sociale di cui all'art. 26
legge n. 153/1969 poi sostituita, a decorrere dal  1°  gennaio  1996,
dal l'assegno sociale di cui al  cit.  art.  3,  comma  6,  legge  n.
335/1995). 
    15. L'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971, laddove attribuisce ai
soggetti totalmente inabili, portatori come e' il caso della  odierna
appellante   di   una   gravissima   disabilita',   un    trattamento
pensionistico largamente insufficiente alle piu' elementari  esigenze
della vita appare altresi' in contrasto con gli articoli 10, comma 1,
e 117, comma 1 della Costituzione che rispettivamente  prevedono  che
l'ordinamento giuridico italiano debba conformarsi  «alle  norme  del
diritto internazionale generalmente riconosciute» e che  la  potesta'
legislativa dello Stato debba essere esercitata  nel  rispetto  anche
«dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli  obblighi
internazionali». 
    La Convenzione O.N.U. sui diritti delle persone con  disabilita',
siglata a New York  il  13  dicembre  2006,  ratificata  dallo  Stato
italiano con la legge 3 marzo 2009, n. 18 e infine approvata  con  la
decisione del Consiglio dell'U.E. del 26 novembre 2009  (2010/48/CE),
ha previsto: all'art. 4 l'impegno degli Stati Parti «ad assicurare  e
promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti  umani  e  delle
liberta' fondamentali per tutte le persone con disabilita'» (comma 1)
nonche' «in merito ai diritti economici, sociali e  culturali  ...  a
prendere misure, per il massimo delle proprie risorse disponibili ...
in vista del conseguimento della piena realizzazione di tali diritti»
(comma 4); all'art. 28, comma 1, che «Gli Stati Parti riconoscono  il
diritto delle persone con disabilita' ad un livello di vita  adeguato
per se' e per le proprie famiglie,  incluse  adeguate  condizioni  di
alimentazione, vestiario e alloggio,  ed  al  continuo  miglioramento
delle condizioni di vita, e devono prendere  misure  appropriate  per
proteggere e promuovere l'esercizio di questo diritto» ed al comma  2
che «Gli  Stati  Parti  riconoscono  il  diritto  delle  persone  con
disabilita'  alla  protezione  sociale  ed  al  godimento  di  questo
diritto... e prenderanno misure appropriate per tutelare e promuovere
l'esercizio di questo  diritto,  includendo  misure  per:  (...)  (b)
assicurare l'accesso alle persone  con  disabilita',  in  particolare
alle donne e alle ragazze con disabilita' e alle persone anziane  con
disabilita', ai programmi  di  protezione  sociale  ed  a  quelli  di
riduzione della poverta': (c) assicurare alle persone con disabilita'
che vivono in condizioni di poverta' l'accesso all'aiuto pubblico per
coprire le spese collegate alle  disabilita'  (...);  (e)  assicurare
pari accesso alle persone con disabilita' a programmi e benefici  per
il pensionamento». 
    A sua  volta,  la  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea del 7 dicembre 2000, alla quale il Trattato di Lisbona del 13
dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha conferito il
medesimo  valore  giuridico  dei  trattati  (v.  art.  6:   «L'unione
riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei
diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  dei  7  dicembre   2000,
adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha  lo  stesso  valore
giuridico dei trattati») ha riconosciuto all'art. 26 il  diritto  dei
disabili «di beneficiare di misure intese a  garantirne  l'autonomia,
l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione  alla  vita
della comunita', e all'art. 34, relativo alle misure di  sicurezza  e
assistenza sociale, ha in particolare previsto al  comma  3  che  «Al
fine di lottare contro l'esclusione sociale e la  poverta',  l'Unione
riconosce  e   rispetta   il   diritto   all'assistenza   sociale   e
all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza  dignitosa  a
tutti coloro che non dispongano di risorse  sufficienti,  secondo  le
modalita' stabilite dal  diritto  comunitario  e  le  legislazioni  e
prassi nazionali». 
    Una disposizione, quale quella dell'art. 12, comma  1,  legge  n.
118/1971,  che  attribuisce  al  soggetto   totalmente   inabile   in
condizioni,  per  di  piu',  di  gravissima  disabilita',  quale   e'
senz'altro l'odierna appellante,  un  trattamento  pensionistico  del
tutto inidoneo a liberarlo dalla condizione di bisogno in  cui  versa
ed a garantirne condizioni di vita almeno  dignitose  inevitabilmente
si pone in contrasto anche con gli  obblighi  internazionali  assunti
dallo Stato italiano  e  con  i  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e, pertanto, con gli articoli 10, comma 1, e  117,  comma
1, della Costituzione. 
    16. L'art. 38, comma  4,  legge  28  dicembre  2001,  n.  448  ha
disposto dal 1° gennaio 2002 l'incremento, m presenza di  determinate
condizioni reddituali, «fino a garantire un reddito  proprio  pari  a
516,46 euro al mese per  tredici  mensilita'»  della  pensione  degli
invalidi civili totali che abbiano un'eta'  pari  o  superiore  a  60
anni: proprio il mancato possesso in capo alla B. di  tale  requisito
anagrafico  ha  comportato,  come  si  e'  detto  in  precedenza,  la
reiezione  da  parte  dell'INPS  della   domanda   di   maggiorazione
presentata dall'odierna appellante il 2 agosto 2015. 
    La limitazione dell'incremento in  parola  agli  invalidi  civili
totali  di  eta'  pari  o  superiore  a  60  anni  appare   anch'essa
irragionevole allorche' l'invalido,  come  nel  caso  ben  prima  del
compimento del 60° anno di eta', si trovi in ragione delle  patologie
sofferte in  condizioni  di  gravissima  disabilita'  e  privo  della
benche' minima capacita' di guadagno: questa  situazione  non  appare
certo meritevole di minor  tutela  rispetto  a  quella  dell'invalido
civile totale che abbia mantenuto una residua capacita' di guadagno e
non soffra di patologie che lo rendano  non  autosufficiente  e  che,
pero',  al  compimento  del  60°  anno  di  eta',  e  unicamente   in
conseguenza del raggiungimento di tale requisito anagrafico, acquista
il diritto a conseguire l'incremento in parola. 
    Ancor di piu' la disposizione dell'art.  38,  comma  4,  cit.  si
appalesa irragionevole e  discriminatoria  se  si  considera  che,  a
parita' di condizioni reddituali, lo stesso art. 38  ha  previsto  al
primo comma l'incremento «fino al milione» a favore dei  titolari  di
assegno (o pensione) sociale al raggiungimento del 70° anno di  eta':
costoro, infatti, per il solo raggiungimento  di  tale  requisito  di
eta' ed  anche  se  esenti  da  patologie  invalidanti  o  gravemente
invalidanti, acquisiscono il diritto ad un «reddito proprio  fino  al
milione», laddove un soggetto totalmente inabile di eta' compresa fra
18 e 59 anni che si trovi per di piu'  in  condizioni  di  gravissima
disabilita' - e' questo il caso dell'odierna  appellante  -  viene  a
percepire una pensione di inabilita' pari a poco piu' della meta'. 
    17.  Deve  quindi  ritenersi  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli articoli 3 e 38, comma 1, della Costituzione, anche la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, legge
28 dicembre 2001, n. 448 laddove subordina il diritto degli  invalidi
civili totali, anche se in condizioni  di  gravissima  disabilita'  e
privi di ogni residua capacita' lavorativa, all'«incremento» in  esso
previsto al raggiungimento del requisito di 60 anni di eta'. 
    18. La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12,
comma 1, legge n.  118/1971  e  dell'art.  38,  4°  comma,  legge  n.
448/2001 risulta,  oltre  che  non  manifestamente  infondata,  anche
rilevante, poiche' solo l'adeguamento della misura della pensione  di
inabilita' a quella dell'assegno sociale ex art. 3, comma 6, legge n.
335/1995 o l'eliminazione del limite anagrafico  del  compimento  del
60° anno di eta' previsto dall'art. 38, comma 4, legge  n.  448/2001,
quantomeno  in  relazione   ai   soggetti   affetti   da   gravissima
disabilita', puo' consentire l'accoglimento delle domande proposte in
giudizio dall'odierna appellante, essendo fra  l'altro  pacifico  (v.
dichiarazioni concordi rese dai difensori delle parti all'udienza  di
discussione del 29 maggio 2019) che le misure introdotte  di  recente
dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 conv. con modificazioni dalla
legge 28 marzo 2019, n.  26  («Disposizioni  urgenti  in  materia  di
reddito di cittadinanza e di pensioni») hanno  riguardato  unicamente
le  prestazioni  di  carattere  previdenziale  erogate  dall'INPS  e,
altresi', l'assegno sociale di cui all'art.  3,  comma  6,  legge  n.
335/1995  e  non  anche  le   prestazioni   di   invalidita'   civile
disciplinate dalle disposizioni di legge qui denunciate. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e  23  legge  11  marzo
1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma  1,  della  legge  30
marzo 1971, n. 118 di conversione del decreto-legge 30 gennaio  1971,
n. 5 nella parte in cui attribuisce al soggetto  totalmente  inabile,
affetto da gravissima disabilita' e privo di ogni  residua  capacita'
lavorativa, una pensione di inabilita'  di  importo,  pari  nell'anno
2018 ad euro 282,55 e nell'anno 2019 ad euro 285,66, insufficiente  a
garantire  il  soddisfacimento  delle  minime  esigenze  vitali,   in
relazione agli articoli 3, 38, comma 1, 10, comma 1, e 117, comma  1,
della Costituzione; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, legge 28  dicembre
2001, n. 448, nella parte in cui subordina il diritto degli  invalidi
civili totali, affetti da gravissima  disabilita'  e  privi  di  ogni
residua capacita' lavorativa, all'incremento previsto dal comma 1  al
raggiungimento del requisito anagrafico del  60°  anno  di  eta',  in
relazione agli articoli 3 e 38, comma 1, della Costituzione; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei  deputati  e
del Senato della Repubblica; 
    Sospende il giudizio in corso. 
        Cosi' deciso in esito all'udienza del 29 maggio 2019. 
 
                       Il Presidente: Mancuso