Domani mattina, martedì 23 giugno, la prima causa trattata nell’udienza pubblica in Corte Costituzionale riguarderà una disabile affetta da grave tetraplegia, costretta a vivere in carrozzella, e il suo misero assegno di invalidità civile che, al momento del ricorso, era pari ad euro 279,47 mensili e ancora nel 2020 corrisponde ad un importo di euro 286,81.
Secondo la ricorrente e la Corte di Appello di Torino, che ha sollevato questione di illegittimità costituzionale, gli importi degli assegni di invalidità sono “largamente insufficienti a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari della vita” tutelati dalla Costituzione e violano in termini di manifesta irragionevolezza La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Di seguito, l’ordinanza della Corte di Appello di Torino.
N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 03 giugno 2019 Ordinanza del 3 giugno 2019 della Corte d'appello di Torino nel procedimento civile promosso da B. S. in persona del suo tutore B. V. contro Istituto nazionale della previdenza sociale - Inps. Previdenza e assistenza - Pensione di inabilita' concessa ai mutilati e invalidi civili di eta' superiore agli anni diciotto nei cui confronti sia accertata una totale inabilita' lavorativa - Importo. Previdenza e assistenza - Incremento delle pensioni in favore di soggetti disagiati - Concessione dei benefici incrementativi anche agli invalidi civili totali titolari di pensione - Requisito anagrafico. - Legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), art. 12, primo comma; legge 28 dicembre 2001, n. 448 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)"), art. 38, comma 4. (GU n. 2 del 2020-01-08) LA CORTE D'APPELLO DI TORINO Sezione lavoro Composta da: dott. Rita Maria Mancuso, Presidente rel.; dott. Federico Grillo Pasquarelli, consigliere; dott. Silvia Casarino, consigliere, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 29 maggio 2019, ha pronunciato la seguente ordinanza, nella causa di lavoro iscritta al n. 183/20187 R.G.L. promossa da: B. S. in persona del suo tutore B. V., nata a... l'......, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Motta e Annamaria Torrani Cerenzia per procura speciale in atti ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Torino, via Castellamonte n. 1, appellante; Contro Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS, corrente in Roma, in persona del suo Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Ruta per procura generale alle liti a rogito notaio Paolo Castellini di Roma rep. n. 80974/21569 del 21 luglio 2015, elettivamente domiciliato in Torino, via Arcivescovado n. 9 presso l'Avvocatura distrettuale INPS di Torino, appellato. 1. Con ricorso depositato il 3 ottobre 2016 diretto al Tribunale di Torino, B. S., a mezzo del suo tutore B. V., evocava in giudizio l'INPS esponendo: di essere affetta da tetraplegia spastica neonatale; di essere percio' costretta a vivere in carrozzella ed essere incapace non solo a svolgere i piu' elementari atti quotidiani della vita (come lavarsi, vestirsi, alimentarsi ecc.) ma anche di comunicare con l'esterno; di essere stata riconosciuta inabile al lavoro al 100% e percepire pertanto la pensione di inabilita' di cui all'art. 12, legge 30 marzo 1971, n. 118 («Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati e invalidi civili») ammontante nell'anno 2016 ad euro 279,47 mensili per tredici mensilita', maggiorata di euro 10,33 mensili ai sensi dell'art. 70, comma 6, legge n. 388/2000; di avere presentato all'INPS il 2 agosto 2015 domanda volta ad ottenere la «maggiorazione sociale al milione» prevista dall'art. 38, legge 28 dicembre 2001, n. 448, domanda che l'Istituto aveva respinto per difetto del requisito anagrafico di 60 anni di eta'; di avere vanamente proposto ricorso amministrativo avverso il diniego dell'INPS. La ricorrente deduceva che l'ammontare complessivo della pensione percepita era largamente insufficiente a garantirle il soddisfacimento dei bisogni primari della vita e che pertanto il cit. art. 12, legge n. 118/1971 doveva ritenersi in contrasto: con l'art. 38. comma 1, della Costituzione (che garantisce ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere al mantenimento ed all'assistenza sociale); con l'art. 3 della Costituzione (per essere la pensione erogatale sensibilmente ed irragionevolmente inferiore sia all'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge 8 agosto 1995, n. 335, erogato agli ultrasessantacinquenni privi di reddito sia al «trattamento minimo» previsto dall'art. 38, legge n. 448/2001 in favore dei pensionati in condizioni disagiate in possesso di determinati requisiti di eta' e di reddito) - sotto il profilo della norma interposta, con gli articoli 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione (come sostituito dall'art. 3 della legge cost. n. 3/2001), per contrasto con gli articoli 4 e 28 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita' stipulata a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva in Italia con legge n. 18/2009, nonche' con gli articoli 26 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea richiamata dall'art. 6 del Trattato di Lisbona. La ricorrente chiedeva dunque al Tribunale adito, previa positiva valutazione della rilevanza e non manifesta in fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, legge n. 118/1971 in riferimento agli articoli 3, comma 1 e 2, 38, comma 1, 10, comma 1 e 117, comma 1 della Costituzione, di rimettere gli atti alla Corte costituzionale e quindi di condannare l'INPS al pagamento in suo favore della pensione di inabilita' in misura non inferiore al minimo previsto dall'art. 38, legge n. 448/2001 o in misura non inferiore all'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge n. 335/1995 e comunque in misura tale da assicurarle il proprio decoroso mantenimento. 2. Si costituiva in giudizio l'INPS chiedendo il rigetto del ricorso avversario perche' infondato, deducendo anzitutto che la B. S. era titolare, oltre che della pensione di inabilita' ex art. 12, legge n. 118/1971 maggiorata dell'importo mensile di euro 10,33 (ex art. 70, comma 6, legge n. 388/2000), anche dell'indennita' di accompagnamento di cui all'art. 1, legge n. 18/1980 avente un importo mensile di euro 515,43 per dodici mensilita', sicche' la stessa veniva a percepire mensilmente un importo complessivo di euro 805,23 sufficiente a garantirle un dignitoso mantenimento, e ribadendo di non aver potuto accogliere la domanda volta al riconoscimento della maggiorazione di cui all'art. 38, legge n. 448/2001 per difetto in capo alla B. del requisito anagrafico richiesto di 60 anni di eta'. 3. Il Tribunale di Torino con sentenza n. 1720/2017 pubblicata il 21 settembre 2017 respingeva il ricorso e compensava le spese processuali. Il Tribunale riteneva infatti manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata col ricorso introduttivo, osservando al riguardo: a) che in base all'art. 28, legge n. 87/1953 il controllo di legittimita' della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge escludeva «ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento» e che pertanto non poteva sollevarsi una questione volta ad «imporre al Giudice delle leggi di sostituirsi al legislatore ordinario nel compiere una scelta discrezionale su un dato tema, da regolarsi secondo la normativa primaria»; b) che l'art. 38 della Costituzione, pur riconoscendo agli inabili al lavoro il diritto al mantenimento, non forniva alcuna indicazione sulle modalita' di attuazione di tale diritto ne' tanto meno sulla misura degli eventuali sussidi, rimettendo tale valutazione alla piena discrezionalita' del legislatore ordinario, il quale d'altronde deve tenere conto anche delle esigenze di finanza pubblica, bene anch'esso costituzionalmente protetto dall'art. 81 della Costituzione (come sostituito dall'art. 1, legge costituzionale n. 1/2012); c) che, allo stesso modo, la normativa comunitaria ed internazionale richiamata dalla ricorrente dettava unicamente principi generali per i legislatori nazionali senza stabilire «nel dettaglio dei limiti alla discrezionalita' di cui essi legislatori godono nel dare attuazione al diritto all'assistenza sociale dei disabili»; d) che arbitraria era inoltre la comparazione - effettuata dalla difesa della ricorrente - fra la pensione di inabilita' in godimento e l'assegno sociale previsto dall'art. 3, comma 6, legge n. 335/1995 a favore dei cittadini ultrasessantacinquenni, trattandosi di istituti del tutto diversi destinati ad assolvere funzioni differenti, sicche' non poteva configurarsi nel caso alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione ipotizzabile solo in presenza di discipline diverse destinate a regolare situazioni identiche o assolutamente comparabili, situazione non ricorrente nel caso di specie. 4. Avverso detta sentenza ha interposto tempestivo appello B. S. per il tramite del suo tutore B. V., riproponendo la questione di legittimita' costituzionale di cui al ricorso introduttivo e chiedendo nel merito l'accoglimento delle originarie conclusioni sulla base delle seguenti censure: (I) la discrezionalita' del legislatore nella individuazione delle misure a favore delle persone inabili trova un limite, anche secondo la Corte delle leggi, nell'esigenza di garantire una «misura minima essenziale di protezione» al di sotto della quale i diritti costituzionalmente garantiti verrebbero violati; (II) rientra si' nella discrezionalita' del legislatore il contemperamento fra il soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti, quale quello al mantenimento degli inabili sprovvisti di mezzi previsto dall'art. 38, comma 1, della Costituzione, e le necessita' della finanza pubblica, ma la norma primaria non puo' essere sottratta al sindacato di costituzionalita' quando risulti affetta da «manifesta irrazionalita'», come deve nel caso ritenersi la disposizione di cui all'art. 12, legge n. 118/1971 che riconosce al cittadino disabile totalmente inabile al lavoro un trattamento oggettivamente inadeguato al proprio mantenimento e pure sensibilmente inferiore a quello stabilito, per fronteggiare analoghe situazioni di bisogno, dall'art. 3, comma 6, legge n. 335/1995 e dall'art. 38, legge n. 448/2001; (III) il primo giudice ha errato nell'escludere la violazione dell'art. 3 della Costituzione sul presupposto della «incomparabilita'» fra la pensione di inabilita' ex art. 12, legge n. 118/1971 e l'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge n. 335/1995, trattandosi invece di trattamenti aventi entrambi natura assistenziale, corrisposti - come pure riconosciuto dalla Corte costituzionale - in ragione della comune condizione di inabilita' al lavoro, per infermita' o per eta', del soggetto e di carenza dei mezzi necessari per vivere, tanto che al compimento del 65° anno di eta' la pensione di inabilita' si trasforma automaticamente nell'assegno sociale; (IV) diversamente da quanto asserito dal primo giudice si configura una violazione pure degli articoli 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione poiche' le Convenzioni europee e internazionali richiamate nel ricorso introduttivo dettano direttive e criteri che vincolano il legislatore nazionale e che sono univocamente orientati ad assicurare ai disabili una tutela effettiva e non meramente teorica. 5. L'INPS si e' costituito chiedendo il rigetto del gravame, riproponendo le stesse difese del primo grado. 6. Questa Corte, acquisite informative dalle parti circa l'attribuibilita' alla ricorrente dei benefici recentemente introdotti dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 convertito in legge 28 marzo 2019, n. 26 («Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni»), invitate le parti alla discussione in ordine alla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale riproposta dalla B. nel ricorso in appello, all'udienza del 29 maggio 2019 ha riservato la decisione. 7. Risultano documentalmente provate e sono comunque pacifiche in causa le condizioni psico-fisiche in cui versa la ricorrente B. S.: la stessa. che oggi ha 47 anni, e' affetta da «ritardo mentale profondo e grave tetraparesi spastica da anossia neonatale» ed in conseguenza di tale patologia e' costretta a vivere su una sedia a rotelle, e' totalmente dipendente da terzi per il compimento di tutti gli atti della vita (lavarsi, vestirsi, alimentarsi, coricarsi ecc.), dispone di limitatissime funzioni intellettive, comunicative e relazionali, non essendo neppure in grado di parlare ed esprimere i propri bisogni (nel verbale in atti del 2 febbraio 2011 della Commissione medica superiore dell'INPS si legge: «Giunge in carrozzina con sostegno anteriore per scarso controllo del tronco. Quadro di grave tetraparesi spastica con retrazioni spastiche ai quattro arti. Ipertono flessorio AASS. estensorio AAII di grado elevato. Incontinenza sfinterica. Non mantiene la stazione eretta autonomamente; non deambula. Emette suoni disarticolati. Completamente estranea all'ambiente. Scialorrea»). 8. Pacifico e' altresi' che in ragione della predetta patologia B. S. sia stata riconosciuta totalmente inabile nonche' in possesso dei requisiti per l'indennita' di accompagnamento ex art. 1, legge n. 18/1980 e che, pertanto, essendo in possesso del relativo requisito reddituale, percepisca la pensione di inabilita' di cui all'art. 12, legge n. 118/1971, nonche' la maggiorazione mensile di euro 10,33 di cui all'art. 70, comma 6, legge n. 388/2000 e l'indennita' di accompagnamento ex art. 1 legge n. 18/1980, ammontante nell'anno 2018 ad euro 515,43 mensili per dodici mensilita'. 9. L'art. 12, comma 1, legge 30 marzo 1971, n. 118 prevede: «Ai cittadini ed invalidi civili di eta' superiore agli anni 18, nei cui confronti, in sede di visita medico-sanitaria, sia stata accertata una totale inabilita' lavorativa, e' concessa a carico dello Stato e a cura del Ministero dell'interno (ora dall'INPS: n.d.e.), una pensione di inabilita' di lire 234.000 annue da ripartire in tredici mensilita' con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda per l'accertamento dell'inabilita'» l'importo annuo della pensione, originariamente pari a lire 234.000, e' stato e levato nel corso del tempo con appositi provvedimenti legislativi (v. art. 7, comma 1, decreto-legge n. 30/1974 conv. con modif. in legge n. 114/1974, art. 5, comma 1, legge n. 160/1975, art. 14-septies, comma 1, decreto-legge n. 663/1979 con v. in legge n. 33/1980) ed e' soggetto alla perequazione automatica al costo della vita secondo gli indici ISTAT disposta con appositi decreti ministeriali (v. art. 7, legge n. 160/1975 e art. 11, comma 1, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503), di talche' la pensione di inabilita' in godimento della B. ammontava nell'anno 2018 ad euro 282,55 per tredici mensilita' (oltre alla maggiorazione di euro 10,33 mensili) ed ammonta nell'anno 2019, per effetto della rivalutazione dell'1,1% disposta con decreto ministeriale 16 novembre 2018, ad euro 285,66 per tredici mensilita'; 10. Incontroverso ancora e' che l'INPS abbia respinto, unicamente per difetto del requisito anagrafico dei 60 anni, la domanda amministrativa presentata dalla B. il 2 agosto 2015 volta ad ottenere la cd. «maggiorazione al milione» prevista dall'art. 38, comma 4, legge n. 448/2001 a favore, fra l'altro, dei cittadini invalidi civili totali aventi eta' pari o superiore a sessanta anni. 11. Non ritiene anzitutto questa Corte che nella valutazione circa la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971 riproposta dalla B. nell'appello possa tenersi conto della erogazione alla stessa dell'indennita' di accompagnamento riconosciuta, ex art. 1, legge 11 febbraio 1980, n. 18, agli invalidi civili totalmente inabili nei cui confronti sia accertata l'impossibilita' di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o la necessita' di un'assistenza continua non essendo in grado di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita, rispondendo tale provvidenza a finalita' diverse da quella che presiede all'erogazione della pensione di inabilita', diretta invece a garantire al soggetto totalmente inabile al lavoro privo di mezzi sufficienti il necessario per far fronte alle spese indispensabili al proprio mantenimento. Merita al riguardo segnalare che gia' la Corte costituzionale ha avuto modo di ritenere con la sentenza n. 346/1989 la diversa funzione cui assolvono le prestazioni assistenziali connesse alla invalidita' e l'indennita' di accompagnamento, «le quali tendono, nell'un caso, a sopperire alla condizione di bisogno di chi a causa dell'invalidita' non e' in grado di procacciarsi i necessari mezzi di sostentamento, nell'altro, a consentire ai soggetti non autosufficienti condizioni esistenziali compatibili con la dignita' della persona umana». 12. L'importo sopra indicato della pensione di inabilita' percepito dalla B., anche se integrato di euro 10,33 mensili, non e' certamente sufficiente, per comune esperienza, a garantire all'appellante il soddisfacimento dei piu' elementari bisogni della vita, come alimentarsi, vestirsi e reperire un'abitazione, e cio' tanto piu' considerando che la stessa, a causa della gravissima patologia da cui e' affetta, e' priva della benche' minima capacita' di guadagno e non e' quindi in grado di svolgere alcuna attivita' lavorativa che potrebbe in ipotesi consentirle di procurarsi un reddito che, cumulato col trattamento pensionistico in godimento e di entita' tale da non comportare il superamento del limite reddituale richiesto dalla legge per il mantenimento della prestazione assistenziale, possa garantirle di far fronte alle minime esigenze vitali. L'inadeguatezza dell'importo di pensione mensilmente percepito dalla B. a garantire alla stessa il soddisfacimento delle minime esigenze vitali, trova peraltro conferma anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione: investita dell'impugnazione avverso la sentenza che aveva respinto l'opposizione avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione di rigetto dell'istanza di assegnazione di un quinto di una pensione Enasarco di euro 414,15 mensili, la S.C., con la sentenza n. 6548 del 22 marzo 2011, dopo aver richiamato la necessita' - affermata dalla Corte costituzionale: v. sentenza n. 506/2002 - di limitare l'impignorabilita' della pensione a quella sola parte idonea ad assicurare al pensionato «mezzi adeguati alle sue esigenze di vita», ha respinto il ricorso avendo condiviso la «ratio decidendi» dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione, e del successivo rigetto dell'opposizione ex art. 617 del codice di procedura civile, in ordine alla «riconducibilita' alla comune esperienza della nozione della totale insufficienza... a garantire le minime esigenze di vita del pensionato, ivi comprendendovi gli esborsi per l'alimentazione indispensabile per sopravvivere, per il vestiario e per l'abitazione (disponibilita' dell'immobile e consumi ordinari di luce, acqua e gas), sia pure nei limiti della soglia minima dell'esigenza dignitosa» sia della somma di euro 303,25 mensili, corrispondente alla pensione sociale e predicata invece dal ricorrente come adeguata a soddisfare gli elementari bisogni di vita del pensionato, sia della poco maggiore somma di euro 414,15 erogata dal terzo pignorato al debitore. Si rinvengono d'altronde nell'ordinamento diverse disposizioni di legge che, pur non individuando direttamente l'ammontare della pensione idoneo ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze della vita, forniscono ciononostante indicazioni significative in tal senso: si veda ad esempio il nuovo testo dell'art. 545, comma 7, codice di procedura civile (introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera l, del decreto-legge n. 83/2015 conv. con modif. nella legge n. 132/2015) che ha stabilito l'impignorabilita' delle somme dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza «per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale aumentato della meta'» nonche' il gia' citato art. 38, legge n. 448/2001 che ha disposto, in presenza di determinati requisiti reddituali e di eta', l'incremento «al milione» di diversi trattamenti pensionistici dei soggetti disagiati <fino a garantire un reddito proprio pari a 516,46 euro al mese per tredici mensilita'». 13. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971, laddove riconosce al soggetto totalmente inabile, per di piu' affetto - come nel caso - da gravissima disabilita' e privo percio' della benche' minima capacita' di guadagno, un importo di pensione del tutto insufficiente a garantirgli il soddisfacimento delle elementari esigenze della vita appare dunque non manifestamente infondata in relazione anzitutto all'art. 38, comma 1 della Costituzione che sancisce il diritto di «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ... al mantenimento e all'assistenza sociale». Vero e' che il legislatore gode di discrezionalita' nella individuazione e determinazione delle misure atte a concretizzare «il diritto al mantenimento» sancito dalla disposizione costituzionale, ma tale discrezionalita' trova un limite nella necessita' di assicurare il soddisfacimento delle esigenze minime vitali della persona, esigenze minime che - come gia' osservato - la pensione di inabilita' in godimento alla B. non e' certo in grado di assicurare. La Corte costituzionale in diverse sentenze ha ribadito che il potere discrezionale del legislatore non e' assoluto ma condizionato dal «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie» (v. ad es. sentenze n. 180/2001 e 226/2000), principio che la stessa Corte delle leggi ha di recente ribadito nella sentenza n. 80/2010 ove e' stato ritenuto che in presenza di un «diritto fondamentale» quale quello del disabile all'istruzione (e diritto «fondamentale» e' pure, a parere di questo Collegio, quello sancito dall'art. 38, comma 1, della Costituzione a favore dei cittadini inabili privi di mezzi), la discrezionalita' del legislatore «nell'individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone con disabilita' non ha carattere assoluto ma trova un limite nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie» per gli interessati. La necessita' di contemperare il diritto dei cittadini inabili privi dei mezzi necessari per vivere e, come nel caso, anche della benche' minima capacita' di guadagno, di conseguire dallo Stato quanto necessario per soddisfare le esigenze elementari della vita con le disponibilita' finanziarie e con il principio, pure di rilievo costituzionale (v. art. 81, comma 1, della Costituzione, come sostituito dall'art. 1, legge costituzionale n. 1/2012), di assicurare l'equilibrio di bilancio, non puo' d'altronde consentire di ritenere conformi al precetto di cui all'art. 38, comma 1, della Costituzione, disposizioni di legge che, come l'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971, assicurino ai soggetti in questione provvidenze in concreto del tutto inidonee a garantire l'effettivo soddisfacimento delle minime esigenze vitali: la stessa Corte costituzionale, ad esempio con la sentenza n. 275/2016, ha piu' volte posto l'accento sulla necessita' che il legislatore garantisca l'attuazione e «l'effettivita'» del diritto costituzionalmente garantito, osservando inoltre, quanto al limite costituito dalle esigenze di bilancio, che «il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all'educazione degli alunni disabili non puo' essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali» e che «e' la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». 14. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971 appare non manifestare infondata, sotto il profilo della ragionevolezza, anche in relazione all'art. 3 della Costituzione che sancisce l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione «di condizioni personali e sociali» (comma 1) e pone a carico della Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la liberta' ed eguaglianza dei cittadini impediscono «il pieno sviluppo della persona umana» (comma 2). La pensione di inabilita' di che trattasi viene riconosciuta agli invalidi civili di eta' compresa fra i diciotto ed i 65 anni (nel 2018 66 anni per effetto dell'art. 24, comma 8, decreto-legge n. 201/2011 conv. con modif. nella legge n. 214/2011) nei cui confronti sia stata accettata una totale inabilita' lavorativa e che siano in possesso del requisito reddituale stabilito anno per anno dall'INPS. L'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge n. 335/1995, che nell'anno 2018 ammontava pacificamente ad euro 453,00 mensili per tredici mensilita' nella sua misura intera (ed ammonta nel corrente anno ad euro 458 mensili), viene riconosciuto ai cittadini ultrasessantacinquenni (a decorrere dal 1° gennaio 2018 ultra 66enni: v. art. 24, comma 8, decreto-legge n. 201/2001 sopra cit.) che siano in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli stabiliti per l'attribuzione della pensione di inabilita' in ragione anche della computabilita' del reddito del coniuge. La pensione di inabilita' e l'assegno sociale sono trattamenti fra loro assimilabili: come affermato anche dalla Corte costituzionale (v. ad esempio sentenza n. 769/1988) le due prestazioni hanno la stessa natura assistenziale, essendo dirette a sopperire ai bisogni dei soggetti privi di mezzi che siano inabili al lavoro o a causa di infermita' (pensione di inabilita') ovvero per ragioni di eta' (assegno sociale). L'assimilabilita' delle due provvidenze e' resa ancor piu' evidente dalla circostanza che ai sensi dell'art. 19 legge n. 118/1971 al compimento dei 65 (ora 66) anni di eta' la pensione di inabilita' di cui all'art. 12, legge n. 118/1971 viene automaticamente sostituita con l'assegno sociale: l'importo mensile della pensione di inabilita' viene quindi adeguato all'importo dell'assegno sociale, ma restano fermi i diversi e piu' favorevoli requisiti reddituali stabiliti per l'attribuzione della pensione di inabilita'. Appare dunque irragionevole, ad avviso del Collegio, riconoscere al soggetto totalmente inabile infra 65enne (oggi infra 66enne) che si trovi come nel caso della B. privo della benche' minima capacita' di guadagno in ragione della gravissima infermita' da cui e' affetto un trattamento di ammontare sensibilmente inferiore a quello dell'assegno sociale, nonostante la comune situazione di bisogno determinata in entrambi i casi dalla inabilita' al lavoro (per infermita' nell'un caso e per l'eta' nell'altro caso), tanto piu' considerando che la Corte costituzionale ha ripetutamente sottolineato la diversita' e specialita' della condizione degli invalidi civili assoluti, meritevoli, perlomeno sotto l'aspetto del requisito reddituale, di «un trattamento di miglior favore» rispetto agli aspiranti all'assegno sociale (v. ad es. sentenza n. 88/1992 pronunciatasi in riferimento alla pensione sociale di cui all'art. 26 legge n. 153/1969 poi sostituita, a decorrere dal 1° gennaio 1996, dal l'assegno sociale di cui al cit. art. 3, comma 6, legge n. 335/1995). 15. L'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971, laddove attribuisce ai soggetti totalmente inabili, portatori come e' il caso della odierna appellante di una gravissima disabilita', un trattamento pensionistico largamente insufficiente alle piu' elementari esigenze della vita appare altresi' in contrasto con gli articoli 10, comma 1, e 117, comma 1 della Costituzione che rispettivamente prevedono che l'ordinamento giuridico italiano debba conformarsi «alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» e che la potesta' legislativa dello Stato debba essere esercitata nel rispetto anche «dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». La Convenzione O.N.U. sui diritti delle persone con disabilita', siglata a New York il 13 dicembre 2006, ratificata dallo Stato italiano con la legge 3 marzo 2009, n. 18 e infine approvata con la decisione del Consiglio dell'U.E. del 26 novembre 2009 (2010/48/CE), ha previsto: all'art. 4 l'impegno degli Stati Parti «ad assicurare e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle liberta' fondamentali per tutte le persone con disabilita'» (comma 1) nonche' «in merito ai diritti economici, sociali e culturali ... a prendere misure, per il massimo delle proprie risorse disponibili ... in vista del conseguimento della piena realizzazione di tali diritti» (comma 4); all'art. 28, comma 1, che «Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilita' ad un livello di vita adeguato per se' e per le proprie famiglie, incluse adeguate condizioni di alimentazione, vestiario e alloggio, ed al continuo miglioramento delle condizioni di vita, e devono prendere misure appropriate per proteggere e promuovere l'esercizio di questo diritto» ed al comma 2 che «Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilita' alla protezione sociale ed al godimento di questo diritto... e prenderanno misure appropriate per tutelare e promuovere l'esercizio di questo diritto, includendo misure per: (...) (b) assicurare l'accesso alle persone con disabilita', in particolare alle donne e alle ragazze con disabilita' e alle persone anziane con disabilita', ai programmi di protezione sociale ed a quelli di riduzione della poverta': (c) assicurare alle persone con disabilita' che vivono in condizioni di poverta' l'accesso all'aiuto pubblico per coprire le spese collegate alle disabilita' (...); (e) assicurare pari accesso alle persone con disabilita' a programmi e benefici per il pensionamento». A sua volta, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, alla quale il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha conferito il medesimo valore giuridico dei trattati (v. art. 6: «L'unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea dei 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati») ha riconosciuto all'art. 26 il diritto dei disabili «di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunita', e all'art. 34, relativo alle misure di sicurezza e assistenza sociale, ha in particolare previsto al comma 3 che «Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la poverta', l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalita' stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali». Una disposizione, quale quella dell'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971, che attribuisce al soggetto totalmente inabile in condizioni, per di piu', di gravissima disabilita', quale e' senz'altro l'odierna appellante, un trattamento pensionistico del tutto inidoneo a liberarlo dalla condizione di bisogno in cui versa ed a garantirne condizioni di vita almeno dignitose inevitabilmente si pone in contrasto anche con gli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano e con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e, pertanto, con gli articoli 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione. 16. L'art. 38, comma 4, legge 28 dicembre 2001, n. 448 ha disposto dal 1° gennaio 2002 l'incremento, m presenza di determinate condizioni reddituali, «fino a garantire un reddito proprio pari a 516,46 euro al mese per tredici mensilita'» della pensione degli invalidi civili totali che abbiano un'eta' pari o superiore a 60 anni: proprio il mancato possesso in capo alla B. di tale requisito anagrafico ha comportato, come si e' detto in precedenza, la reiezione da parte dell'INPS della domanda di maggiorazione presentata dall'odierna appellante il 2 agosto 2015. La limitazione dell'incremento in parola agli invalidi civili totali di eta' pari o superiore a 60 anni appare anch'essa irragionevole allorche' l'invalido, come nel caso ben prima del compimento del 60° anno di eta', si trovi in ragione delle patologie sofferte in condizioni di gravissima disabilita' e privo della benche' minima capacita' di guadagno: questa situazione non appare certo meritevole di minor tutela rispetto a quella dell'invalido civile totale che abbia mantenuto una residua capacita' di guadagno e non soffra di patologie che lo rendano non autosufficiente e che, pero', al compimento del 60° anno di eta', e unicamente in conseguenza del raggiungimento di tale requisito anagrafico, acquista il diritto a conseguire l'incremento in parola. Ancor di piu' la disposizione dell'art. 38, comma 4, cit. si appalesa irragionevole e discriminatoria se si considera che, a parita' di condizioni reddituali, lo stesso art. 38 ha previsto al primo comma l'incremento «fino al milione» a favore dei titolari di assegno (o pensione) sociale al raggiungimento del 70° anno di eta': costoro, infatti, per il solo raggiungimento di tale requisito di eta' ed anche se esenti da patologie invalidanti o gravemente invalidanti, acquisiscono il diritto ad un «reddito proprio fino al milione», laddove un soggetto totalmente inabile di eta' compresa fra 18 e 59 anni che si trovi per di piu' in condizioni di gravissima disabilita' - e' questo il caso dell'odierna appellante - viene a percepire una pensione di inabilita' pari a poco piu' della meta'. 17. Deve quindi ritenersi non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 38, comma 1, della Costituzione, anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, legge 28 dicembre 2001, n. 448 laddove subordina il diritto degli invalidi civili totali, anche se in condizioni di gravissima disabilita' e privi di ogni residua capacita' lavorativa, all'«incremento» in esso previsto al raggiungimento del requisito di 60 anni di eta'. 18. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, legge n. 118/1971 e dell'art. 38, 4° comma, legge n. 448/2001 risulta, oltre che non manifestamente infondata, anche rilevante, poiche' solo l'adeguamento della misura della pensione di inabilita' a quella dell'assegno sociale ex art. 3, comma 6, legge n. 335/1995 o l'eliminazione del limite anagrafico del compimento del 60° anno di eta' previsto dall'art. 38, comma 4, legge n. 448/2001, quantomeno in relazione ai soggetti affetti da gravissima disabilita', puo' consentire l'accoglimento delle domande proposte in giudizio dall'odierna appellante, essendo fra l'altro pacifico (v. dichiarazioni concordi rese dai difensori delle parti all'udienza di discussione del 29 maggio 2019) che le misure introdotte di recente dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 conv. con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26 («Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni») hanno riguardato unicamente le prestazioni di carattere previdenziale erogate dall'INPS e, altresi', l'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge n. 335/1995 e non anche le prestazioni di invalidita' civile disciplinate dalle disposizioni di legge qui denunciate. P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, della legge 30 marzo 1971, n. 118 di conversione del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 nella parte in cui attribuisce al soggetto totalmente inabile, affetto da gravissima disabilita' e privo di ogni residua capacita' lavorativa, una pensione di inabilita' di importo, pari nell'anno 2018 ad euro 282,55 e nell'anno 2019 ad euro 285,66, insufficiente a garantire il soddisfacimento delle minime esigenze vitali, in relazione agli articoli 3, 38, comma 1, 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, legge 28 dicembre 2001, n. 448, nella parte in cui subordina il diritto degli invalidi civili totali, affetti da gravissima disabilita' e privi di ogni residua capacita' lavorativa, all'incremento previsto dal comma 1 al raggiungimento del requisito anagrafico del 60° anno di eta', in relazione agli articoli 3 e 38, comma 1, della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Sospende il giudizio in corso. Cosi' deciso in esito all'udienza del 29 maggio 2019. Il Presidente: Mancuso
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