2 marzo 1999. I signori V. e Z. portano il loro figlio al centro vaccinale per la somministrazione dei vaccini obbligatori.
Da subito vengono riscontrati malesseri e la terribile diagnosi è “encefalopatia post vaccinale con deficit psicomotorio”.
Venuti a conoscenza della legge 210/92, il 10 novembre 1999 i genitori del piccolo danneggiato presentano istanza di riconoscimento e la Commissione Medica Ospedialiera (C.M.O.) riconosce il nesso causale tra vaccinazione antipolio e la grave malattia del bambino in data 6 febbraio 2002.
I genitori chiedono che sia accertata anche la responsabilità del Ministero della Salute per il danno subito e nel febbraio del 2005 agiscono in via giudiziaria con la richiesta di risarcimento.
Dopo 14 anni, quest’anno la Cassazione si è definitivamente pronunciata rigettando la richiesta dei signori V. e Z.
Secondo il Supremo Collegio, la domanda di risarcimento del febbraio 2005 aveva superato i termini di prescrizione e il ricorso è rigettato.
In questo caso, la Cassazione ha considerato il termine di prescrizione di soli 5 anni per la responsabilità del Ministero della Salute e non il termine, più vantaggioso per i danneggiati, di 10 anni previsto per la responsabilità del medico o della struttura ospedaliera.
La decorrenza è stata, inoltre, fissata al momento della presentazione dell’istanza di riconoscimento ai sensi della legge 210/92 (10 novembre 1999) e così, per soli tre mesi, è maturato il termine quinquennale di prescrizione alla data della notifica del ricorso giudiziario il 14 febbraio 2005.
Corte di cassazione civile, sezione VI, 11 luglio 2019, n. 18737
Svolgimento del processo
RILEVATO
che:
1. X.X., quale amministratore di sostegno del figlio X.Y., propone ricorso per cassazione illustrato da memoria contro il Ministero della Salute, avverso la sentenza n. xxxx/xxxx della Corte di Appello di Bari, depositata il xxxxxxx, con la quale la Corte confermava il rigetto dell’azione risarcitoria proposta dal ricorrente e dalla moglie Z.Z., n. q. di genitori del figlio allora minore X., per il risarcimento dei danni conseguenti alla la contrazione di encefalopatia post-vaccinica con danni permanenti, in quanto prescritta.
2. Resiste con controricorso il Ministero della Salute.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso.
Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.
Motivi della decisione
CONSIDERATO
che:
1. Il Collegio (tenuto conto anche delle osservazioni contenute nella memoria) condivide le valutazioni contenute nella proposta del relatore nel senso della manifesta infondatezza del ricorso.
2. I signori X. e Z. convenivano in giudizio il Ministero nel febbraio 2005, assumendo che al figlio era stato somministrato vaccino antipolio il 2 marzo 1999, con due successivi richiami e che da subito il bambino aveva riscontrato malesseri, era stato sottoposto a visite di controllo a breve distanza di tempo e si era accertato il verificarsi di una encefalopatia post vaccinale con decifit psicomotorio, in relazione alla quale la C.M.O. di Bari certificava in data 6 febbraio 2002 l’esistenza di un nesso causale con la vaccinazione antipolio, e quindi il riconoscimento di una menomazione permanente dell’integrità psicofisica per encefalite post vaccinica.
La domanda risarcitoria veniva rigettata in primo grado, con sentenza confermata in appello, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale consolidato che fissa, al più tardi, l’exordium prescriptionis nel momento della proposizione della domanda amministrativa alla CMO (avvenuta già il 10 novembre 1999). La prescrizione, essendo l’atto di citazione stato notificato in data 14 febbraio 2005, risultava maturata già prima della introduzione del giudizio.
3. I ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c. in tema di decorrenza della prescrizione in riferimento al diritto al risarcimento del danno in caso di malattia lungolatente. Sostengono che la sola presentazione della domanda di indennizzo, ex lege n. 210 del 1992, redatta sulla base di una scheda informativa di sospetta reazione indesiderata al vaccino, non possa far decorrere la prescrizione, non potendosi ritenere acquisito in quel momento, in capo al danneggiato, un sufficiente grado di consapevolezza della riconducibilità causale di un determinato fatto dannoso alla sua origine e quindi una piena percezione in capo al danneggiato dell’esistenza e della gravità del danno e della sua addebitabilità, in ragione della derivazione della patologia dalla vaccinazione, in capo al Ministero della salute.
Il rilievo è infondato, in quanto la decisione impugnata è affettivamente conforme al consolidato orientamento di legittimità secondo il quale la presentazione del ricorso per la concessione dell’indennizzo alla CMO costituisce il termine ultimo di decorrenza della prescrizione (principio affermato in tema di contagio HIV, ma estensibile anche alle patologie contratte a causa di vaccinazione): v. da ultimo Cass. n. 27757 del 2017 “In tema di responsabilità per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da pazienti emotrasfusi, la presentazione della domanda di indennizzo, di cui alla L. n. 210 del 1992, attesta l’esistenza, in capo al malato e ai familiari, della consapevolezza che queste siano da collegare causalmente con le trasfusioni e, pertanto, segna il limite ultimo di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, a norma dell’art. 2935 c.c. e dell’art. 2947 comma 1, c.c., ma ciò non esclude che il giudice di merito individui in un momento precedente l’avvenuta consapevolezza del suddetto collegamento sulla base di un accertamento in fatto adeguatamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nel dichiarare prescritto il diritto al risarcimento, aveva fatto risalire l’avvenuta conoscenza del collegamento causale alla data della diagnosi dell’infezione e ciò tenuto conto delle conoscenze esistenti all’epoca in materia e del più generale principio dell’ordinaria diligenza)”.
I rilievi relativi alla carenza di motivazione, correlata al fatto che la corte d’appello non avrebbe spiegato il mutamento di orientamento giurisprudenziale sulla base del quale si arrivava all’accoglimento della eccezione di prescrizione sono inammissibili, perché il giudice di merito è bensì tenuto a giustificare giuridicamente la sua decisione ma non necessariamente a ripercorrere tutto il quadro delle evoluzioni giurisprudenziali, tanto più quando esso non è repentino (nel caso di specie, l’orientamento attuale si è stabilmente conformato, ormai da anni, al dictum delle Sezioni unite del 2008, e la sentenza di appello è stata pronunciata a ben nove anni di distanza dalla prima affermazione del richiamato principio, quando quell’orientamento era già da tempo diritto vivente).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Stante la natura della controversia sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio tra le parti.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e i ricorrenti risultano soccombenti, pertanto sono gravati dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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